CARMELA
Storia di una emigrazione
La mia storia è simile a tante altre e inizia, quando agli albori degli anni ’50, due
giovani sammarinesi (mio padre e mia madre) contagiati dalla voglia di trovare
l’America e attirati dalle notizie di altri parenti già emigrati in Argentina, decidono
con grande coraggio di avventurarsi e provare di iniziare una vita in questo lontano
Paese. Erano angosciati dalla povertà, dalla miseria del dopoguerra ma carichi
dell’entusiasmo dei giovani, incoscienti del futuro difficile a cui andavano
incontro.........e le difficoltà, le lacrime dei primi tempi furono tante ma non si
arresero........loro avevano tanta voglia di lavorare, di progredire, di farsi un futuro,
di formare una famiglia...... Così dopo qualche anno sono nata io, la seconda in
questa scala di tre figli. Da molto piccola (circa 3 anni) ricordo la presenza dei miei
zii e cugini che proprio in quegli anni sono ritornati a San Marino. A parte questo
ricordo non ci furono più altri parenti diretti con i quali abbiamo vissuto. Eravamo da
soli in quest’enorme città di Buenos Aires che stava crescendo spinta dalla voglia di
progredire di tanti emigrati venuti da ogni parte del mondo.
La mia infanzia fu bella, in un quartiere in periferia, in una casa che avevano
costruito mio padre e mio zio (emigrato prima) per cui abbastanza grande e in più con
due locali adibiti alla vendita di carne bovina e prodotti alimentari, dove lavoravano
mio padre e mia madre. Di quegli anni mi rimane il ricordo di miei amici.......due
gemelli maschi Josè Maria e Juan Carlos e la loro sorella Susana, figli di spagnoli:
quando penso a loro fioriscono nella mia mente i pomeriggi passati in casa
imparando canzoni spagnole popolari, cercando di imitare i loro balli e suonando
addirittura “las castanuelas” (le nacchere). Un altro episodio che mi fa tornar in
mente quegli anni fu quando mi avevano convinto a buttarmi giù dal mio terrazzo con
un ombrello, che secondo loro doveva funzionare come paracadute ma per fortuna fui
fermata in tempo da mia madre che scoprì l’esperimento nel momento giusto. Ricordo
con tanta tenerezza una volta in cui essendoci una festa a scuola dovevo recitare una
poesia e qualche giorno prima ero andata da Susana a farle sentire se la dicevo bene
(ma senza pensare che in casa c’erano anche i gemelli); così arrivò il giorno della
recita e a vedermi c’era tutta la mia famiglia, ma rimasero a bocca aperta quando sul
palcoscenico apparvero i gemelli al mio posto ed io intanto piangevo abbracciata alla
mia maestra per non aver avuto il coraggio di presentarmi davanti al
pubblico......Dopo la prima elementare i miei vicini (che avevano costruito la casa
nuova) cambiarono quartiere, andarono a vivere abbastanza lontano e così a parte
qualche visita dei primi tempi, dopo non li vidi mai più ........... un’altra mia cara
amica era Betty, figlia di genitori italiani, che aveva la mia stessa età e frequentavamo
la stessa classe. A causa di un problema di salute di sua madre era sempre molto
appartata e chiusa in casa, ma lo stesso sono riuscita ad allacciare con lei un’
amicizia silenziosa con dei segreti solo nostri e di cui mi è rimasto un sapore
dolce....... penso forse con un po’ di presunzione di essere stata la sua unica amica di
quegli anni, sicuramente meno teneri per lei, in quanto anche adesso (già passati più
di 30 anni) ricevo ancora i suoi auguri per il mio compleanno e per le feste natalizie
che orgogliosamente ricambio........ Ma io ero soprattutto attirata dai miei vicini
giapponesi “Arakaki” la cui famiglia era così composta: il babbo, Zenkichi (Mario),
la moglie Graciela con delle origini boliviane, i figli: Jorge, Marta, Susana, Juan
Carlos, Domingo Martìn (che era in classe con me), Cecilia del Carmen (più piccola
di 1 anno ma con cui vissi intensamente la felicità di quei meravigliosi anni) e l’ultimo
fratello Alberto.
Vorrei soffermarmi nella descrizione di questa famiglia considerando l’importanza
che la stessa ha avuto in quei piccoli anni: come quasi tutti i giapponesi emigrati
avevano aperto (sempre in un locale della propria casa) una lavanderia, forse perché
era più facile capirsi in quelle due o tre cose in cui consisteva il loro lavoro giacchè il
babbo parlava la sua lingua madre e appena riusciva a dire qualche frase in
spagnolo. Io andavo sempre a casa loro per trovare alla mia amica Cecilia ma la loro
casa era la casa più strana che io abbia mai conosciuto. Per entrare bisognava
passare dal negozio in cui c’erano due banchi con della carta per piegare e avvolgere
i panni, dietro c’era il tavolo da stiro, dove sempre stava Zenkichi e quando io mi
presentavo lì davanti (già sapendo che il motivo della mia presenza era trovare
Cecilia), mi salutava con un difficoltoso “Buenos dias o buenas tardes” e mi faceva
un cenno per entrare, ma l’odissea cominciava lì: dall’altra parte, di fronte a lui c’era
un piccolo cane legato a una catena e per entrare in casa bisognava passare
costeggiando il muro, ma questa difficoltà non mi fermava anche se avevo tanta paura
dei cani. Passato il primo intoppo c’era una sala con un gran tavolo in cui c’era
sempre una teiera e delle tazze (il tè era servito tutto il giorno), sulle pareti c’erano
dei grandi quadri ovali con delle foto dei genitori morti con una striscia nera obliqua
in fondo, ma fra quadro e quadro c'era un animale imbalsamato: uccelli, ramarri e
altri quadri disegnati con delle tigri (Domingo Martìn era bravissimo a disegnare);
sopra i mobili c’erano tante pagode di tutte le misure fatte di cemento e stuzzicadenti,
create da Zenkichi. Di lì si passava in cucina dove si cuoceva il riso in continuazione e
dove c’era sempre Susana. Dopo si andava in un cortile (patio) con tanti vasi, con
delle piante, e in alto i fili che tenevano i panni ad asciugare, ma anche qui c’era un
altro cane, che come l’altro era legato, e per andare più in là bisognava che qualcuno
accorciasse la catena, così intanto si poteva passare di corsa. In fondo alla casa c’era
una stanza con dei lavandini e macchine per lavare i panni e dall’altra parte un gran
giardino con una vasca (2m. x 2m.), che per noi in estate si trasformava in una
piscina, ma che dopo fu occupata da una specie di coccodrillo importato dal Brasile.
Dal “patio” partiva una scala che portava sulla terrazza in cui c’era una costruzione
di legno, tipo “chalet”, che veniva utilizzato come locale dove si confezionavano dei
pantaloni poiché Marta lavorava per un negozio di sartoria. I pomeriggi, dopo la
scuola e dopo i compiti (deberes), con Cecilia ci si riuniva per giocare su quegli
enormi marciapiedi, si andava in casa sui terrazzi o si girava nel quartiere intorno a
quello che si chiamava “manzana” ovvero un quadrato perfetto di l00 m. x 100 m. con
delle case attorno.
Furono degli anni senza problemi, pieni di giochi, amici, vacanze di 1 mese al mare o
in montagna, con dei Natali al caldo, con dei fuochi d’artificio fino a mezzanotte,
carnevali con gavettoni, giochi d’acqua e balli sulle strade. Ricordo che nel mio
quartiere, nella sera di Capodanno, veniva bloccata una di quelle strade di poco
traffico con due camion sistemati di traverso e dopo l’ora di cena ci si riuniva tutti lì,
da qualche casa usciva della musica con delle canzoni sudamericane a tutto ritmo e si
ballava tutti insieme, grandi e bambini. Ricordo le sfilate di maschere del mio
quartiere che cercavano d’imitare quelle del Brasile, ma sebbene molto diverse, per
noi bambini rappresentavano uno spettacolo pieno di fascino.
Quando avevo 9 anni nacque mio fratello e per me e mia sorella più grande fu la fine
di un periodo di priorità. In questi anni il racconto dei miei genitori sulla loro terra,
sul loro passato, era un ricordo triste, con tante sofferenze, con tante fatiche......mia
madre mi spiegava di tanti lavori che facevano in campagna e che io non capivo..... in
quanto la nostra vita in città era totalmente diversa......mi parlava sul periodo di
guerra ma non riuscivo a comprendere tante cose di cui sentivo solo parole e non
vedevo, non toccavo ed i miei sentimenti erano indifferenti a questa loro vita passata
di cui non avevo prove ma solo la loro testimonianza. A 12 anni mia madre con mio
fratello di 3 anni torna per la prima volta a San Marino. Viaggiano su una grossa
nave che si chiamava “Augustus” e per 6 mesi rimangono ospiti dei loro parenti.
Durante quel periodo lavoravano in casa mia due sorelle venute dalla provincia di
Cordoba: Olga e Griselda, che come tante ragazze in quegli anni emigravano dalle
province alla capitale cercando di cambiare la loro vita povera di campagna con la
caotica, moderna, vita povera di città. Durante quei mesi sostituiscono i miei genitori,
perché nel frattempo anche mio padre era partito in aereo per raggiungere il resto
della famiglia. Olga era la mia preferita e mi voleva tanto bene, mi dava tanti
nomignoli affettuosi “picho amado” “flaca escopeta” e durante un’estate mi aveva
portato perfino a casa sua, in campagna, in una città chiamata Dolores, nella
provincia di Cordoba. Siamo andate col treno e anche se era tutto tanto povero per me
era stata una vacanza bellissima,....... pensare a questo mi fa sentire sulla pelle il
calore torrido di quei posti e mi ricordo che per dormire mettevano i letti di fuori.
Dormire guardando un cielo pieno di stelle era come essere su una nave spaziale
sperduta nell’universo.
Mia madre, mio fratello e mio padre tornarono tutti insieme e tutti parlavano
l’italiano per cui io non capivo niente.....la prima frase di mio fratello quando mi vide
fu: - con che sei venuta? E io non ero capace di rispondere e così me la ripeteva tante
altre volte. Con loro arrivarono tanti regali, cose diverse di cui mi stimavo tanto ed
erano la invidia di miei compagni e amici. Il viaggio era stato lungo ed emozionante
ma la vita continuava a Buenos Aires. Un anno dopo, durante le vacanze estive ci
mettemmo in viaggio verso il Nord, alle province di Salta e Jujuy, per andare a
trovare i nostri amici e lontani parenti sammarinesi. Partendo da Buenos Aires, con
l’auto di mio padre, attraversammo in diagonale l’Argentina, passando per Santa Fe,
Cordoba, La Rioja, Santiago del Estero e Tucumàn; così dopo due giorni e quasi 1500
km. arrivammo alla provincia di Salta immersa in una bellissima vallata. Fu un
viaggio lunghissimo ma in compenso percorremmo una varietà di zone e di paesaggi
unici al mondo: la Pampa, la Sierra e la Puna. Lì rimanemmo una quindicina di
giorni ospiti nelle superbe tenute dei nostri amici, che si dedicavano alle coltivazioni
di tabacco, conoscendo quei posti meravigliosi ai piedi delle Ande, fra questi ricordo
la Quebrada de Humahuaca e Tilcara, con delle montagne minerali che
sprigionavano una gamma di colori brillanti che fanno pensare a delle pietre preziose.
Questa zona con un clima semidesertico aveva dei colori in cui il verde era solo dato
dai cactus, ma era affascinante e allo stesso tempo fisicamente difficile da sopportare
giacché il caldo secco a circa 3000 metri di altitudine provocava dei disturbi a livello
di pressione. Mi ricordo delle donne aborigeni, con dei vestiti di lana di tutti colori,
che portavano i loro figli sulla schiena e che vendevano nei mercati i loro prodotti
artigianali....... avevano 20 anni e sembravano vecchie, il clima era caldissimo ma
verso le due di pomeriggio cominciava a soffiare un forte vento che poco a poco si
trasformava in freddo, e questo succedeva ogni giorno. Rimasi entusiasta di questo
viaggio che mi aveva dato la possibilità di conoscere questi amici sammarinesi e di
stabilire un rapporto di amicizia con i lori figli e mi promise di ritornare ............cosa
che veramente si avverrò un po’ di anni dopo.
Nell’ottobre del 1969 compii 15 anni e come a tutte le ragazze mi aspettava la grande
festa che rappresentava il passaggio dalla pubertà all’adolescenza. Dato il mio
carattere un po’ introverso e soprattutto timido, chiesi a mio padre in cambio della
festa un viaggio, ma un viaggio a San Marino, per conoscere finalmente la terra di cui
mi avevano sempre parlato, conoscere i miei nonni, zii, cugini, parenti che avevo visto
solo in fotografia. La curiosità di costatare dopo tanti racconti questi posti si
sovrappose alla paura e piena di entusiasmo, ancora minorenne, feci questo viaggio
assieme a mia sorella, anche lei minorenne. Partimmo nel periodo delle vacanze
scolastiche (fine dicembre 1969, gennaio e febbraio) e quel 1970 per noi fu privo di
stagione estiva ma per la prima volta vedemmo la neve e quest’emozione superava
qualsiasi desiderio d’estate, mare con onde altissime, a cui eravamo tanto abituate.
Quei due mesi furono la scoperta di un mondo diverso, era la prima volta che andavo
a ballare o uscivo in gruppo con tanti amici, giacché i miei cugini (più grandi di me di
qualche anno e già con la macchina) erano entusiasti e si disputavano la nostra
compagnia. Eravamo oggetto di curiosità, dire che venivamo dall’Argentina (all’inizio
degli anni ’70) era la cosa più insolita che si potesse sentire. Eravamo tanto strane
anche per i nonni e gli zii, e in quel poco tempo non è stato possibile creare un legame
famigliare. Ma il mio desiderio si era avverato: avevo visto, Roma, Firenze, Venezia
ed ero arrivata perfino in Svizzera, senza parlare di tutti i piccoli borghi vicini a San
Marino. I due mesi ci volarono dalle mani in un attimo e tornare a Buenos Aires
rappresentò per noi un momento di angoscia. Ma eravamo soddisfate, contente, di
aver fatto una esperienza così unica per due ragazze della nostra età. I primi momenti
del ritorno furono un continuo non voler accettare la realtà e per la prima volta
rifiutavamo la nostra città che ci sembrava priva di ogni piacere. Siamo tornate con la
decisione di convincere i nostri genitori di vendere tutto in Argentina e di ritornare a
San Marino. Ma la cosa non era tanto facili come noi pensavamo e sebbene mio padre
era stato contagiato dalla nostra euforia bisognava pensare al futuro che ci poteva
aspettare in questo nuovo paese. Le prospettive erano una pensione a Rimini o un
negozio nel centro storico di San Marino ma attraverso fratelli o amici di famiglia non
fu possibile concretizzare nessuna di queste possibilità. Poi io facevo il 2° anno di
Ragioneria, e anche mia sorella studiava, e addirittura aveva già il fidanzato che in
quel periodo aveva abbandonato sopraffatta da tanti altri pensieri. Il passar del tempo
ridimensionò la nostra illusione, poco a poco tutto tornò alla normalità e quel viaggio
rimase nei nostri piccoli cuori come un bel sogno che si ricorda svegliandosi alla
mattina.
Così continuai i miei studi con ottimi voti e mia sorella con il suo fidanzato. A
dicembre del 1972 mi diplomai in Ragioneria e come era di consuetudine, finito il 5°
anno delle superiori, assieme a tutta la classe, si faceva un viaggio in una località
dell’Argentina (senza alcun contributo della scuola) pagando ognuno di noi la sua
quota, aiutati solo dal ricavato di balli o di qualche lotteria.
La meta del nostro viaggio fu Bariloche, località che rimane sulle Ande, in Patagonia,
fra le provincie di Rio Negro e Neuquén (la chiamano la piccola Svizzera delle Ande).
Viaggiammo in un treno chiamato Arrayanes (nome aborigene di un famoso bosco de
questa località in cui si trovano degli alberi unici nel mondo di uguale nome) che ci
metteva due giorni per percorrere più di mille chilometri che ci separavano da Buenos
Aires. Il treno era occupato soltanto da studenti e non si pensava al tempo, ne al
sonno, ne a niente, questo treno che attraversava la Pampa e la Patagonia, senza
toccare nessun centro urbano e che si fermava soltanto in qualche stanzioncina, era
pieno di musica, di risate, di voci che contrastavano con quel paesaggio solitario,
desertico, con il solo rumore del vento.
Bariloche era incantevole fra queste altissime montagne, piena di laghi, boschi e con
una vegetazione ancora vergine. Fu una settimana indimenticabile, ma fra le
escursioni di ogni giorno e le uscite alla sera, per andare a ballare, si dormiva
realmente poco, per cui si tornò a Buenos Aires con un treno silenzioso, stanco, triste,
per la fine di questo viaggio e allo stesso tempo per la fine di un periodo della nostra
vita.
Sono stati degli anni molto intensi, con degli amori passeggeri, in un’età in cui stavo
scoprendo un’identità, un mio carattere, una mia ideologia inserita all’interno di tutta
una serie di avvenimenti travolgenti che si sono sviluppati nel mio paese in quegli
anni. Già non pensavo più ai miei sogni di viaggiare, ero troppo assorbita dalla
decisione sulla scelta del mio futuro cercando di continuare ancora a studiare.
Volevo fare l’università ma contrariamente a quello che desiderava mio padre, che
era “Contador Publico Nacional” (Dottore in Economia e Commercio), mi iscrissi
all’Università di Scienze Esatte per fare matematica e più precisamente “Computador
cientifico”. Avevo dovuto sostenere un’esame di ammissione in quanto c’era il numero
chiuso ma con un immensa soddisfazione ero riuscita a farcela!.
Il mio primo anno d’università (1974) (diversamente dall’anno precedente in cui solo
studiavo per poter dare l’esame) fu veramente pieno di impegni: di mattina lavoravo
nell’amministrazione di una clinica privata (per fortuna molto vicino a casa) e di
pomeriggio, verso le 17,00, ero già all’università, ma considerando le distanze e il
fatto che ci si muoveva esclusivamente con i mezzi di trasporto pubblici, era tutto
molto pesante. L’anno di studio era cominciato in marzo ma in settembre di
quell’anno, e dopo la caduta del governo di Allende, in Cile, anche in Argentina
scoppia un “colpo di Stato” e chiudono tutte le università. Così tutto il mio sforzo di
quell’anno, i miei due primi esami già sostenuti, non era valso a nulla.......ma se penso
che alla mia insaputa, durante quegli anni, tanti ragazzi come me furono presi dai
militari perché manifestavano un’idea politica, sono più che fortunata a poter essere
qui a raccontare queste vicende.
Successivamente le università furono riaperte ma c’erano militari dappertutto,
bisognava essere sempre munito di documenti in vista di un eventuale controllo, c’era
un clima teso in cui non mi ci trovavo per cui lasciai provvisoriamente gli studi
universitari per iniziare un nuovo periodo dedicato soltanto al lavoro. Così cominciai
a cercare tramite gli annunci economici, scrivendo e presentandomi ai diversi indirizzi
che mi sembravano più idonei alla mia preparazione contabile.
Da quel momento in poi il mio percorso lavorativo fu in continuo miglioramento:
cominciai con un’università sudamericana nella scienza contabile, che effettuava dei
corsi specializzati, per corrispondenza, indirizzati ai dipendenti di ditte multinazionali
di tutta l’America Latina compreso il Brasile per cui con un settore speciale in lingua
portoghese.
I due anni passati in quest’università furono veramente importanti: per l’esperienza
lavorativa acquisita, per le persone che ho conosciuto, per le amicizie trovate, con cui
per la prima volta ero andata da sola in ferie, per una serie di avvenimenti che si sono
succeduti in quel periodo di cui mi è rimasto un vero tesoro nel mio baule di ricordi.
Sempre con il desiderio di continuare a studiare e già avendo fatto degli studi in
precedenza mi iscrissi in un Istituto Privato specializzato nell’insegnamento della
Lingua Francese (Alliance Francaise) dedicandomi con passione all’approfondimento
di questo idioma. In quegli anni era tornato, dopo un lungo esilio, il Generale Juan
Domingo Peron, un presidente argentino che negli anni’50, assieme a su moglie Evita,
aveva fatto tanto per il popolo argentino, soprattutto per le classi povere. Ma la sua
presidenza dura poco, muore dopo un anno e la sua nuova moglie Isabel Martinez
prende il suo posto; ma per poco tempo, in quanto la situazione politica era al limite e
così subentrano i militari, i famosi generali colpevoli di tutti gli atti omicidi di quegli
anni. L’inflazione era galoppante, si arrivava a parlare di milioni anche per comprare
il pane e così cambiarono la moneta togliendo una volta 2 zeri e un’altra 3 zeri. La
mia situazione economica familiare andava bene, mio padre vendeva delle macchine
nuove e usate ma il mio stipendio, anche se buono, appena mi bastava.
Era il 1977 e i primi giorni dell’ anno, in piena state, si sposò mia sorella con lo
stesso ragazzo che anni prima voleva lasciare per tornare a San Marino. Quel giorno
di festa e per ironia del destino ebbi un incidente stradale, abbastanza grave, che in
qualche modo segnò la mia vita e per diversi mesi mi lasciò prostrata a letto. Sempre
quell’anno cambiammo casa e quartiere.................Era l’inizio di una nuova tappa e
con questa anche di un nuovo lavoro che superasse le mie aspettative rispetto al
precedente. Sempre con il sistema degli annunci sul giornale trovai un posto in un
laboratorio di prodotti medicinali, e per la prima volta mi trovai a lavorare in pieno
centro di Buenos Aires. Questo mi affascinava, prendevo la metropolitana,
attraversavo le strade più larghe del Sudamerica, camminavo per strade piene solo di
cinematografi, o librerie, o banche di tutto il mondo..........Nel 1978 ci furono i
Mondiali di Calcio, ed in un paese come l’Argentina, questo avvenimento
rappresentava un momento di gioia unica. Durante quel periodo la gente si dimenticò
dei problemi che c’erano nel paese, tutti erano come ubriachi di questo spettacolo
sportivo, ma il sogno finì e tutto tornò come prima.
Un’altra volta, e sempre dopo circa due anni, pensai di cambiare lavoro consapevole
che le mie aspettative all’interno della ditta erano abbastanza limitate. Sempre
rimanendo nella zona del centro di Buenos Aires trovai un posto in una finanziaria in
cui finalmente mi sentii, dal punto di vista professionale, molto soddisfatta. Anche qui
trovai degli altri amici ed anche una storia d’amore che durò circa un anno ma che
era destinata a finire così.
Un altro momento incisivo nella mia vita fu il percorso spirituale a cui mi sottoposi in
quel periodo tramite una peregrinazione a un Santuario della Vergine di Lujan, sito in
una località a 70 km. della capitale, partendo da una zona in periferia. Per circa 24
ore si camminava ininterrottamente, senza dormire e mangiando o bevendo senza fare
sosta. Le condizioni fisiche in cui si arrivava erano per tutti abbastanza penose, senza
parlare delle persone ammalate o di chi si spostava con delle carrozzine. Questa
esperienza indimenticabile mi aveva aiutato a provare la mia forza, la mia fede e la
ripetei per ben 3 anni.
Dopo 5 anni di studi di francese, e arrivando a un ottimo livello culturale, fui
chiamata dalla Borsa di Commercio Francese a Buenos Aires dove mi si propose un
lavoro bilingue in una ditta multinazionale francese che si doveva istallare nella
capitale Argentina. Avevo mille dubbi, perché mi dispiaceva lasciar il mio posto di
lavoro nella finanziaria, ma l’opportunità era unica, lo stipendio era alle stelle e
rischiai un’altra volta. Furono dei mesi intensi in quanto bisognava ottenere permessi
da diversi Ministeri, prestiti da Banche, ecc. Così lavorai quasi un anno, ed ero
contentissima, mi sembrava essere alla cima di ogni mio desiderio. Inaspettatamente,
come quando si rompe un incantesimo, arrivò il mio licenziamento motivato dal fatto
che veniva ad occupare il posto del personale direttamente dalla Francia.....e il
mondo mi cascò addosso ....mi avevano pagato tutto a norma di legge, ma mi
rimaneva una grossa delusione e poi avevo anche lasciato un altro lavoro che mi
piaceva tanto.........Ero smarrita e soprattutto angosciata da quest’ultima esperienza e
fu così che in quel momento cominciai ad informarmi per fare un viaggio in Europa,
meta San Marino, e che migliore occasione di questa! Avevo risparmiato dei soldi e
mi bastavano per un biglietto di 2° classe in una famosa nave italiana. Quando
raccontai l’idea ai miei genitori non furono per niente contenti, ma ero decisa a
provare una nuova esperienza! Per mia sorella, già madre di una bambina di 3 anni, e
mio fratello che si stava diplomando, l’idea era affascinante soprattutto immaginando
uno spostamento provvisorio e breve. I Miei amici non ci potevano credere, ma ormai
avevo deciso, avevo fatto il mio biglietto per la nave “Eugenio C” della Costa
Crociera che partiva da Genova per una crociera di 1 mese: attraversava l’Oceano
Atlantico e tramite il Canale di Panama passava all’Oceano Pacifico per immettersi
ancora nell’Oceano Atlantico e così arrivava dopo 15 giorni di navigazione al Porto
di Buenos Aires. Il 7 marzo 1982 salii su questa nave, ero da sola ma piena di
coraggio e di entusiasmo ma si devo dire la verità anche con tanta paura. La nave
partì una domenica splendida di fine estate lasciando su quel porto migliaia di
persone che salutavano emozionate parenti e amici, che forse sarebbero tornati dopo
qualche tempo o può darsi mai più.
E così come questo transatlantico anche il mio destino navigava verso altri orizzonti.
Quei 15 giorni in nave furono come un sogno, non c’era niente che mi vincolasse né al
passato, né al futuro, né alla realtà, era come essere sospesi nel tempo. Il lusso, il
fascino di questa città navigante era imponente anche nella sovranità dell’oceano e il
mio viaggio fu all’insegna del divertimento, l’amicizia, la conoscenza di altre
esperienze simili alla mia........Ma il tempo non si fermò e la nave continuò il suo
corso, attraccando in diversi porti e così conobbi delle importanti città portuarie.
Immagino che questo clima paradisiaco non era da paragonare allo stato d’animo in
cui viaggiavano 30 anni prima tanti emigrati, tra cui i miei genitori: l’angoscia, la
paura, la tristezza riempivano ogni angolo di quella nave e appena partiti già
sognavano di tornare alla loro terra natale, ma il tempo era ben più lungo..... e molti
non tornarono mai più.
Arrivai a Genova il 21 marzo, il giorno dell’inizio della primavera, e le speranze
fiorivano nel mio cuore. Fu come svegliarmi, aprire gli occhi e pensare “adesso devo
veramente cominciare”. Mi lasciai dietro una scia di ricordi e cercai di non pensare
più a quello che mi legava alle mie radici. Ma questi furono soltanto dei propositi;
nella realtà non potevo comandare né al mio cuore, né ai miei pensieri. I primi mesi
furono un infinito “iniziare”: parlare un’altra lingua che appena conoscevo avendo
fatto solo un breve corso di italiano (giacché in casa si parlava esclusivamente lo
spagnolo); cercare di abituarmi a vivere con i miei parenti che gentilmente mi
avevano ospitato; cambiare orari, cibi, stagioni;......... cercare un lavoro. Non fu facile
per niente, e anche se per forza dovevo parlare questa nuova lingua i miei sogni erano
ancora in spagnolo. In casa dei nonni ero quasi una sconosciuta e poi abituata ai
ritmi di una grande città, adattarmi ai loro orari era una tortura. E pensare che
sempre avevo sognato di avere dei nonni che mi coccolassero, ma ero arrivata troppo
tardi e questo non era più possibile. Anche il lavoro costituì una grossa battaglia,
perché poi dovevo aspettare il riconoscimento dei miei diplomi tramite il Consolato, e
nel frattempo accettai dei lavori come bidella, assistente nella colonia marina e altre
sostituzioni che mi capitavano.
Forse era stato più facile per i miei genitori inserirsi in una società in cui tanti
emigrati come loro avevano le stesse esperienze che per me inserirmi in una società in
cui ero l’unica ad avere una storia simile.
Tutti erano curiosi di sapere, come mi chiamavo, dove abitavano i miei da giovani,
perché ero venuta, come mai da sola, se mi piaceva San Marino .... mi sembrava di
essere al centro di una continua intervista....... Intanto ricevevo tante lettere di amici e
famigliari ed era l’unico filo di collegamento con il mio paese.
Il tempo non passò invano e dopo qualche mese, avendo avuto il riconoscimento del
mio diploma, mi si aprirono delle porte ed ebbi la possibilità di lavorare come
ragioniera. Cominciai ad essere sempre più fiduciosa recuperando la forza persa nei
primi momenti del mio arrivo. L’inserimento nel mondo del lavoro fu pieno
d’entusiasmo, voglia di fare, d’imparare, e questo mi aiutò a stabilire dei nuovi
rapporti con della gente che mi stava vicino. Quel 1982 fu un anno intenso......in luglio
ci fu un Referendum che dava la possibilità alle donne sammarinesi, sposate con
stranieri, di conservare la loro cittadinanza, e per la prima volta esercitai il mio
diritto di voto, cosa che non feci mai in Argentina. In ottobre venne convocata la “1°
Consulta dei sammarinesi residenti all’estero” a cui partecipai essendo l’unica
argentina presente, esponendo le problematiche soprattutto economiche di questo
paese e le eventuali possibilità di avvicinamento per tanti giovani sammarinesi alla
terra dei loro avi. In quegli anni non c’erano ancora le rappresentanze consolari in
Argentina per cui la tutela dei diritti dei cittadini sammarinesi era delegata al governo
italiano. Anche se il mio stato d’animo non era alle stelle volli continuare con il mio
proposito, e non mi buttai giù, avevo ottenuto la patente di guida studiando ed
esercitandomi in estate e mi comprai la macchina più economica (una 500). Il mio
spirito continuava ad essere avventuriero e curioso e così spesi i miei risparmi
viaggiando in treno, in nave e in aereo per conoscere alcune città della Italia e
Francia, Grecia, Spagna.
Questo piccolo paese mi concesse un’autonomia economica mai avuta, ma mi sentivo
lo stesso molto confusa..............avevo nostalgia della mia terra natale, della mia
famiglia, dei miei amici, della mia musica, delle mie passeggiate.........e anche in
questo stato d’insicurezza mi sentivo di dover ancora aspettare, prima di prendere la
decisione di ritornare. La cosa peggiore non era tanto la lontananza ma soprattutto la
solitudine, il non avere vicino a me qualcuno che vivesse le mie stesse esperienze, che
sentisse le mie emozioni. La neve del 1983 mi sembrò meno bella di quando avevo 15
anni e vissi tutte le difficoltà legate a questa perturbazione atmosferica.
Quell’anno era stata istituita la Legge che riconosceva il rimborso di viaggio ai
cittadini sammarinesi residenti all’estero che venivano a votare, e per la prima volta
da quando ero a San Marino vidi diversi argentini, cosa che mi fece tanto piacere e
che mi diede ancora la carica per continuare a vivere in questo paese. Quell’anno per
la prima volta si cominciò a sentir parlare dei “desaparecidos”; e questo mi lasciò
sconvolta per le atrocità di cui venne a conoscenza..........pensavo alla mia gente, a
questo paese che finiva una guerra inutile e disgraziata con l’Inghilterra (per le isole
Falkland–Malvinas) e mi sentivo triste, egoista per essere così lontana e non partecipe
di quegli anni di crisi. Tramite le lettere dei miei amici e famigliare ebbi una
testimonianza autentica degli sviluppi politici ed economici di quegli anni che
contrastavano nitidamente con la situazione esistente in questa piccola Repubblica e
che mi fece apprezzare ancora di più le opportunità a cui potevo accedere.
Pian, piano acquistai più sicurezza e andai a vivere da sola trovando in questo modo
una mia propria dimensione. La conoscenza di certe persone fu fondamentale, non
solo per inserirmi in questa società o per imparare delle abitudini, ma soprattutto per
essere parte anch’io di questo paese. Era l’inizio di un momento veramente positivo ed
a completare questo quadro fu la conoscenza di una persona eccezionale, unica, piena
di carisma, una persona che apprezzava ogni cosa che facevo, che era affascinata
dalla mia vita e che mi tese una mano nel momento giusto, credendo in me, nelle mie
risorse, che mi volle bene per quello che ero stata e per quello che ero. Avevo trovato
finalmente una vera amica! Ed è stata lei che mi lanciò verso il futuro, che mi
convinse ad iscrivermi a dei concorsi, che mi aiutò a studiare.....e questo rappresentò
per me, in quel momento, “una sfida” che poteva dare una risposta al mio dilemma di
rimanere o ritornare..........Il cerchio si allargò sempre di più e nacquero delle altre
amicizie che mi portarono alla conoscenza di un amore, unico, travolgente, che mi
fece dimenticare ogni momento buio, e da allora pensai solo al presente. Sprofondai
in un mondo nuovo in cui i sentimenti non avevano un idioma, mi sentii importante,
necessaria e allo stesso tempo capace di dare tutto quello che avevo dentro di me.
Così cominciai un viaggio in due con l’uomo che oggi è mio marito.
I primi due concorsi li persi ma la decisione di tornare al mio paese rimase in
sospeso, contrariamente a quello che avevo ipotizzato in precedenza,......c’era
qualcosa di più forte che superava qualsiasi frustrazione. Il terzo concorso lo vinsi e
fu la prova che il mio sforzo in quei 3 anni di vita all’estero era valso la pena. La mia
decisione era stata presa: volevo restare a vivere qui lasciando dietro tanti ricordi,
una vita diversa e chi sa quante altre cose. In quegli anni anche mio fratello volle
provare l’esperienza migratoria seguendo le mie tracce ma si arrese dopo qualche
anno e così anche altri amici che conoscevamo in quel periodo.
A quattro anni dalla mia partenza dell’Argentina mi sposai e tornai là per il mio
viaggio di nozze. Rivedere Buenos Aires, caotica, imperfetta, immensa, rumorosa fu
una grande emozione. E ancora di più abbracciare la mia famiglia, i miei amici
.......ma io non ero la stessa di prima, mi sentivo strana, la mia trasformazione era
avvenuta così come a tanti altri emigrati, che alla fine sono stranieri dovunque.
Tornai con mio marito alle provincie di Salta e Jujuy, percorrendo ancora quei
meravigliosi posti che avevo conosciuto da bambina e visitando i nostri amici
sammarinesi. Come in tutti i ritorni la tristezza e le lacrime non mancarono..... ma la
mia scelta era stata fatta, il mio destino era orientato verso una direzione come
quando si tira una freccia...dopo non ti appartiene più. La mia vita aveva preso un
corso normale, casa, lavoro e tanti altri problemi uguali a quelli di tante altre
persone. Esattamente alla stessa età in cui mia madre aveva lasciato la sua terra io
prese, in quella terra, il suo posto e continuai a vivere, crescendo, maturando,
sperimentando delle emozioni uniche come la maternità, la crescita di miei figli, il
passare inesorabile degli anni, il vedere sempre da più lontano la ragazza che era su
quella nave......In questi anni sono ritornata diverse volte in Argentina, sempre con
mio marito e miei figli, ai quali feci conoscere ogni posto di cui gli avevo sempre
parlato, ma anche percorrendo altre zone di questo paese, oggetto di mete ambite per
tanti turisti. Anche mia madre ha fatto tanti viaggi a San Marino e le nostre vite
parallele continuano a trovare una totale corrispondenza in due posti tanto diversi. Il
resto della famiglia vive in Argentina e l’unico legame con San Marino è attraverso di
me.
L’esperienza dell’emigrazione (tenendo conto dell’età in cui io lasciai il mio paese e
dal fatto che ero da sola) è un’esperienza che non consiglierei a nessuno soprattutto ai
miei figli. Anche loro si sentono legati al mio paese natale tramite i miei ricordi e
sebbene può sembrare una storia bella con un lieto fine, è una storia triste, è la storia
di una persona che ha lasciato le sue radici, di una persona a metà, di una persona
con due vite diverse. L’emigrante non è mai totalmente uguale agli altri.......e porterà
per sempre un marchio........Può darsi che molti non siano d’accordo con me e pensino
che queste mie conclusioni non siano che un paradosso........ma quando divago,
quando la mia mente viaggia, quando il mio cuore si sposta mi chiedo:- e se quel 7
marzo 1982 non avesse preso quella nave.........................................?
Storia di una emigrazione
La mia storia è simile a tante altre e inizia, quando agli albori degli anni ’50, due
giovani sammarinesi (mio padre e mia madre) contagiati dalla voglia di trovare
l’America e attirati dalle notizie di altri parenti già emigrati in Argentina, decidono
con grande coraggio di avventurarsi e provare di iniziare una vita in questo lontano
Paese. Erano angosciati dalla povertà, dalla miseria del dopoguerra ma carichi
dell’entusiasmo dei giovani, incoscienti del futuro difficile a cui andavano
incontro.........e le difficoltà, le lacrime dei primi tempi furono tante ma non si
arresero........loro avevano tanta voglia di lavorare, di progredire, di farsi un futuro,
di formare una famiglia...... Così dopo qualche anno sono nata io, la seconda in
questa scala di tre figli. Da molto piccola (circa 3 anni) ricordo la presenza dei miei
zii e cugini che proprio in quegli anni sono ritornati a San Marino. A parte questo
ricordo non ci furono più altri parenti diretti con i quali abbiamo vissuto. Eravamo da
soli in quest’enorme città di Buenos Aires che stava crescendo spinta dalla voglia di
progredire di tanti emigrati venuti da ogni parte del mondo.
La mia infanzia fu bella, in un quartiere in periferia, in una casa che avevano
costruito mio padre e mio zio (emigrato prima) per cui abbastanza grande e in più con
due locali adibiti alla vendita di carne bovina e prodotti alimentari, dove lavoravano
mio padre e mia madre. Di quegli anni mi rimane il ricordo di miei amici.......due
gemelli maschi Josè Maria e Juan Carlos e la loro sorella Susana, figli di spagnoli:
quando penso a loro fioriscono nella mia mente i pomeriggi passati in casa
imparando canzoni spagnole popolari, cercando di imitare i loro balli e suonando
addirittura “las castanuelas” (le nacchere). Un altro episodio che mi fa tornar in
mente quegli anni fu quando mi avevano convinto a buttarmi giù dal mio terrazzo con
un ombrello, che secondo loro doveva funzionare come paracadute ma per fortuna fui
fermata in tempo da mia madre che scoprì l’esperimento nel momento giusto. Ricordo
con tanta tenerezza una volta in cui essendoci una festa a scuola dovevo recitare una
poesia e qualche giorno prima ero andata da Susana a farle sentire se la dicevo bene
(ma senza pensare che in casa c’erano anche i gemelli); così arrivò il giorno della
recita e a vedermi c’era tutta la mia famiglia, ma rimasero a bocca aperta quando sul
palcoscenico apparvero i gemelli al mio posto ed io intanto piangevo abbracciata alla
mia maestra per non aver avuto il coraggio di presentarmi davanti al
pubblico......Dopo la prima elementare i miei vicini (che avevano costruito la casa
nuova) cambiarono quartiere, andarono a vivere abbastanza lontano e così a parte
qualche visita dei primi tempi, dopo non li vidi mai più ........... un’altra mia cara
amica era Betty, figlia di genitori italiani, che aveva la mia stessa età e frequentavamo
la stessa classe. A causa di un problema di salute di sua madre era sempre molto
appartata e chiusa in casa, ma lo stesso sono riuscita ad allacciare con lei un’
amicizia silenziosa con dei segreti solo nostri e di cui mi è rimasto un sapore
dolce....... penso forse con un po’ di presunzione di essere stata la sua unica amica di
quegli anni, sicuramente meno teneri per lei, in quanto anche adesso (già passati più
di 30 anni) ricevo ancora i suoi auguri per il mio compleanno e per le feste natalizie
che orgogliosamente ricambio........ Ma io ero soprattutto attirata dai miei vicini
giapponesi “Arakaki” la cui famiglia era così composta: il babbo, Zenkichi (Mario),
la moglie Graciela con delle origini boliviane, i figli: Jorge, Marta, Susana, Juan
Carlos, Domingo Martìn (che era in classe con me), Cecilia del Carmen (più piccola
di 1 anno ma con cui vissi intensamente la felicità di quei meravigliosi anni) e l’ultimo
fratello Alberto.
Vorrei soffermarmi nella descrizione di questa famiglia considerando l’importanza
che la stessa ha avuto in quei piccoli anni: come quasi tutti i giapponesi emigrati
avevano aperto (sempre in un locale della propria casa) una lavanderia, forse perché
era più facile capirsi in quelle due o tre cose in cui consisteva il loro lavoro giacchè il
babbo parlava la sua lingua madre e appena riusciva a dire qualche frase in
spagnolo. Io andavo sempre a casa loro per trovare alla mia amica Cecilia ma la loro
casa era la casa più strana che io abbia mai conosciuto. Per entrare bisognava
passare dal negozio in cui c’erano due banchi con della carta per piegare e avvolgere
i panni, dietro c’era il tavolo da stiro, dove sempre stava Zenkichi e quando io mi
presentavo lì davanti (già sapendo che il motivo della mia presenza era trovare
Cecilia), mi salutava con un difficoltoso “Buenos dias o buenas tardes” e mi faceva
un cenno per entrare, ma l’odissea cominciava lì: dall’altra parte, di fronte a lui c’era
un piccolo cane legato a una catena e per entrare in casa bisognava passare
costeggiando il muro, ma questa difficoltà non mi fermava anche se avevo tanta paura
dei cani. Passato il primo intoppo c’era una sala con un gran tavolo in cui c’era
sempre una teiera e delle tazze (il tè era servito tutto il giorno), sulle pareti c’erano
dei grandi quadri ovali con delle foto dei genitori morti con una striscia nera obliqua
in fondo, ma fra quadro e quadro c'era un animale imbalsamato: uccelli, ramarri e
altri quadri disegnati con delle tigri (Domingo Martìn era bravissimo a disegnare);
sopra i mobili c’erano tante pagode di tutte le misure fatte di cemento e stuzzicadenti,
create da Zenkichi. Di lì si passava in cucina dove si cuoceva il riso in continuazione e
dove c’era sempre Susana. Dopo si andava in un cortile (patio) con tanti vasi, con
delle piante, e in alto i fili che tenevano i panni ad asciugare, ma anche qui c’era un
altro cane, che come l’altro era legato, e per andare più in là bisognava che qualcuno
accorciasse la catena, così intanto si poteva passare di corsa. In fondo alla casa c’era
una stanza con dei lavandini e macchine per lavare i panni e dall’altra parte un gran
giardino con una vasca (2m. x 2m.), che per noi in estate si trasformava in una
piscina, ma che dopo fu occupata da una specie di coccodrillo importato dal Brasile.
Dal “patio” partiva una scala che portava sulla terrazza in cui c’era una costruzione
di legno, tipo “chalet”, che veniva utilizzato come locale dove si confezionavano dei
pantaloni poiché Marta lavorava per un negozio di sartoria. I pomeriggi, dopo la
scuola e dopo i compiti (deberes), con Cecilia ci si riuniva per giocare su quegli
enormi marciapiedi, si andava in casa sui terrazzi o si girava nel quartiere intorno a
quello che si chiamava “manzana” ovvero un quadrato perfetto di l00 m. x 100 m. con
delle case attorno.
Furono degli anni senza problemi, pieni di giochi, amici, vacanze di 1 mese al mare o
in montagna, con dei Natali al caldo, con dei fuochi d’artificio fino a mezzanotte,
carnevali con gavettoni, giochi d’acqua e balli sulle strade. Ricordo che nel mio
quartiere, nella sera di Capodanno, veniva bloccata una di quelle strade di poco
traffico con due camion sistemati di traverso e dopo l’ora di cena ci si riuniva tutti lì,
da qualche casa usciva della musica con delle canzoni sudamericane a tutto ritmo e si
ballava tutti insieme, grandi e bambini. Ricordo le sfilate di maschere del mio
quartiere che cercavano d’imitare quelle del Brasile, ma sebbene molto diverse, per
noi bambini rappresentavano uno spettacolo pieno di fascino.
Quando avevo 9 anni nacque mio fratello e per me e mia sorella più grande fu la fine
di un periodo di priorità. In questi anni il racconto dei miei genitori sulla loro terra,
sul loro passato, era un ricordo triste, con tante sofferenze, con tante fatiche......mia
madre mi spiegava di tanti lavori che facevano in campagna e che io non capivo..... in
quanto la nostra vita in città era totalmente diversa......mi parlava sul periodo di
guerra ma non riuscivo a comprendere tante cose di cui sentivo solo parole e non
vedevo, non toccavo ed i miei sentimenti erano indifferenti a questa loro vita passata
di cui non avevo prove ma solo la loro testimonianza. A 12 anni mia madre con mio
fratello di 3 anni torna per la prima volta a San Marino. Viaggiano su una grossa
nave che si chiamava “Augustus” e per 6 mesi rimangono ospiti dei loro parenti.
Durante quel periodo lavoravano in casa mia due sorelle venute dalla provincia di
Cordoba: Olga e Griselda, che come tante ragazze in quegli anni emigravano dalle
province alla capitale cercando di cambiare la loro vita povera di campagna con la
caotica, moderna, vita povera di città. Durante quei mesi sostituiscono i miei genitori,
perché nel frattempo anche mio padre era partito in aereo per raggiungere il resto
della famiglia. Olga era la mia preferita e mi voleva tanto bene, mi dava tanti
nomignoli affettuosi “picho amado” “flaca escopeta” e durante un’estate mi aveva
portato perfino a casa sua, in campagna, in una città chiamata Dolores, nella
provincia di Cordoba. Siamo andate col treno e anche se era tutto tanto povero per me
era stata una vacanza bellissima,....... pensare a questo mi fa sentire sulla pelle il
calore torrido di quei posti e mi ricordo che per dormire mettevano i letti di fuori.
Dormire guardando un cielo pieno di stelle era come essere su una nave spaziale
sperduta nell’universo.
Mia madre, mio fratello e mio padre tornarono tutti insieme e tutti parlavano
l’italiano per cui io non capivo niente.....la prima frase di mio fratello quando mi vide
fu: - con che sei venuta? E io non ero capace di rispondere e così me la ripeteva tante
altre volte. Con loro arrivarono tanti regali, cose diverse di cui mi stimavo tanto ed
erano la invidia di miei compagni e amici. Il viaggio era stato lungo ed emozionante
ma la vita continuava a Buenos Aires. Un anno dopo, durante le vacanze estive ci
mettemmo in viaggio verso il Nord, alle province di Salta e Jujuy, per andare a
trovare i nostri amici e lontani parenti sammarinesi. Partendo da Buenos Aires, con
l’auto di mio padre, attraversammo in diagonale l’Argentina, passando per Santa Fe,
Cordoba, La Rioja, Santiago del Estero e Tucumàn; così dopo due giorni e quasi 1500
km. arrivammo alla provincia di Salta immersa in una bellissima vallata. Fu un
viaggio lunghissimo ma in compenso percorremmo una varietà di zone e di paesaggi
unici al mondo: la Pampa, la Sierra e la Puna. Lì rimanemmo una quindicina di
giorni ospiti nelle superbe tenute dei nostri amici, che si dedicavano alle coltivazioni
di tabacco, conoscendo quei posti meravigliosi ai piedi delle Ande, fra questi ricordo
la Quebrada de Humahuaca e Tilcara, con delle montagne minerali che
sprigionavano una gamma di colori brillanti che fanno pensare a delle pietre preziose.
Questa zona con un clima semidesertico aveva dei colori in cui il verde era solo dato
dai cactus, ma era affascinante e allo stesso tempo fisicamente difficile da sopportare
giacché il caldo secco a circa 3000 metri di altitudine provocava dei disturbi a livello
di pressione. Mi ricordo delle donne aborigeni, con dei vestiti di lana di tutti colori,
che portavano i loro figli sulla schiena e che vendevano nei mercati i loro prodotti
artigianali....... avevano 20 anni e sembravano vecchie, il clima era caldissimo ma
verso le due di pomeriggio cominciava a soffiare un forte vento che poco a poco si
trasformava in freddo, e questo succedeva ogni giorno. Rimasi entusiasta di questo
viaggio che mi aveva dato la possibilità di conoscere questi amici sammarinesi e di
stabilire un rapporto di amicizia con i lori figli e mi promise di ritornare ............cosa
che veramente si avverrò un po’ di anni dopo.
Nell’ottobre del 1969 compii 15 anni e come a tutte le ragazze mi aspettava la grande
festa che rappresentava il passaggio dalla pubertà all’adolescenza. Dato il mio
carattere un po’ introverso e soprattutto timido, chiesi a mio padre in cambio della
festa un viaggio, ma un viaggio a San Marino, per conoscere finalmente la terra di cui
mi avevano sempre parlato, conoscere i miei nonni, zii, cugini, parenti che avevo visto
solo in fotografia. La curiosità di costatare dopo tanti racconti questi posti si
sovrappose alla paura e piena di entusiasmo, ancora minorenne, feci questo viaggio
assieme a mia sorella, anche lei minorenne. Partimmo nel periodo delle vacanze
scolastiche (fine dicembre 1969, gennaio e febbraio) e quel 1970 per noi fu privo di
stagione estiva ma per la prima volta vedemmo la neve e quest’emozione superava
qualsiasi desiderio d’estate, mare con onde altissime, a cui eravamo tanto abituate.
Quei due mesi furono la scoperta di un mondo diverso, era la prima volta che andavo
a ballare o uscivo in gruppo con tanti amici, giacché i miei cugini (più grandi di me di
qualche anno e già con la macchina) erano entusiasti e si disputavano la nostra
compagnia. Eravamo oggetto di curiosità, dire che venivamo dall’Argentina (all’inizio
degli anni ’70) era la cosa più insolita che si potesse sentire. Eravamo tanto strane
anche per i nonni e gli zii, e in quel poco tempo non è stato possibile creare un legame
famigliare. Ma il mio desiderio si era avverato: avevo visto, Roma, Firenze, Venezia
ed ero arrivata perfino in Svizzera, senza parlare di tutti i piccoli borghi vicini a San
Marino. I due mesi ci volarono dalle mani in un attimo e tornare a Buenos Aires
rappresentò per noi un momento di angoscia. Ma eravamo soddisfate, contente, di
aver fatto una esperienza così unica per due ragazze della nostra età. I primi momenti
del ritorno furono un continuo non voler accettare la realtà e per la prima volta
rifiutavamo la nostra città che ci sembrava priva di ogni piacere. Siamo tornate con la
decisione di convincere i nostri genitori di vendere tutto in Argentina e di ritornare a
San Marino. Ma la cosa non era tanto facili come noi pensavamo e sebbene mio padre
era stato contagiato dalla nostra euforia bisognava pensare al futuro che ci poteva
aspettare in questo nuovo paese. Le prospettive erano una pensione a Rimini o un
negozio nel centro storico di San Marino ma attraverso fratelli o amici di famiglia non
fu possibile concretizzare nessuna di queste possibilità. Poi io facevo il 2° anno di
Ragioneria, e anche mia sorella studiava, e addirittura aveva già il fidanzato che in
quel periodo aveva abbandonato sopraffatta da tanti altri pensieri. Il passar del tempo
ridimensionò la nostra illusione, poco a poco tutto tornò alla normalità e quel viaggio
rimase nei nostri piccoli cuori come un bel sogno che si ricorda svegliandosi alla
mattina.
Così continuai i miei studi con ottimi voti e mia sorella con il suo fidanzato. A
dicembre del 1972 mi diplomai in Ragioneria e come era di consuetudine, finito il 5°
anno delle superiori, assieme a tutta la classe, si faceva un viaggio in una località
dell’Argentina (senza alcun contributo della scuola) pagando ognuno di noi la sua
quota, aiutati solo dal ricavato di balli o di qualche lotteria.
La meta del nostro viaggio fu Bariloche, località che rimane sulle Ande, in Patagonia,
fra le provincie di Rio Negro e Neuquén (la chiamano la piccola Svizzera delle Ande).
Viaggiammo in un treno chiamato Arrayanes (nome aborigene di un famoso bosco de
questa località in cui si trovano degli alberi unici nel mondo di uguale nome) che ci
metteva due giorni per percorrere più di mille chilometri che ci separavano da Buenos
Aires. Il treno era occupato soltanto da studenti e non si pensava al tempo, ne al
sonno, ne a niente, questo treno che attraversava la Pampa e la Patagonia, senza
toccare nessun centro urbano e che si fermava soltanto in qualche stanzioncina, era
pieno di musica, di risate, di voci che contrastavano con quel paesaggio solitario,
desertico, con il solo rumore del vento.
Bariloche era incantevole fra queste altissime montagne, piena di laghi, boschi e con
una vegetazione ancora vergine. Fu una settimana indimenticabile, ma fra le
escursioni di ogni giorno e le uscite alla sera, per andare a ballare, si dormiva
realmente poco, per cui si tornò a Buenos Aires con un treno silenzioso, stanco, triste,
per la fine di questo viaggio e allo stesso tempo per la fine di un periodo della nostra
vita.
Sono stati degli anni molto intensi, con degli amori passeggeri, in un’età in cui stavo
scoprendo un’identità, un mio carattere, una mia ideologia inserita all’interno di tutta
una serie di avvenimenti travolgenti che si sono sviluppati nel mio paese in quegli
anni. Già non pensavo più ai miei sogni di viaggiare, ero troppo assorbita dalla
decisione sulla scelta del mio futuro cercando di continuare ancora a studiare.
Volevo fare l’università ma contrariamente a quello che desiderava mio padre, che
era “Contador Publico Nacional” (Dottore in Economia e Commercio), mi iscrissi
all’Università di Scienze Esatte per fare matematica e più precisamente “Computador
cientifico”. Avevo dovuto sostenere un’esame di ammissione in quanto c’era il numero
chiuso ma con un immensa soddisfazione ero riuscita a farcela!.
Il mio primo anno d’università (1974) (diversamente dall’anno precedente in cui solo
studiavo per poter dare l’esame) fu veramente pieno di impegni: di mattina lavoravo
nell’amministrazione di una clinica privata (per fortuna molto vicino a casa) e di
pomeriggio, verso le 17,00, ero già all’università, ma considerando le distanze e il
fatto che ci si muoveva esclusivamente con i mezzi di trasporto pubblici, era tutto
molto pesante. L’anno di studio era cominciato in marzo ma in settembre di
quell’anno, e dopo la caduta del governo di Allende, in Cile, anche in Argentina
scoppia un “colpo di Stato” e chiudono tutte le università. Così tutto il mio sforzo di
quell’anno, i miei due primi esami già sostenuti, non era valso a nulla.......ma se penso
che alla mia insaputa, durante quegli anni, tanti ragazzi come me furono presi dai
militari perché manifestavano un’idea politica, sono più che fortunata a poter essere
qui a raccontare queste vicende.
Successivamente le università furono riaperte ma c’erano militari dappertutto,
bisognava essere sempre munito di documenti in vista di un eventuale controllo, c’era
un clima teso in cui non mi ci trovavo per cui lasciai provvisoriamente gli studi
universitari per iniziare un nuovo periodo dedicato soltanto al lavoro. Così cominciai
a cercare tramite gli annunci economici, scrivendo e presentandomi ai diversi indirizzi
che mi sembravano più idonei alla mia preparazione contabile.
Da quel momento in poi il mio percorso lavorativo fu in continuo miglioramento:
cominciai con un’università sudamericana nella scienza contabile, che effettuava dei
corsi specializzati, per corrispondenza, indirizzati ai dipendenti di ditte multinazionali
di tutta l’America Latina compreso il Brasile per cui con un settore speciale in lingua
portoghese.
I due anni passati in quest’università furono veramente importanti: per l’esperienza
lavorativa acquisita, per le persone che ho conosciuto, per le amicizie trovate, con cui
per la prima volta ero andata da sola in ferie, per una serie di avvenimenti che si sono
succeduti in quel periodo di cui mi è rimasto un vero tesoro nel mio baule di ricordi.
Sempre con il desiderio di continuare a studiare e già avendo fatto degli studi in
precedenza mi iscrissi in un Istituto Privato specializzato nell’insegnamento della
Lingua Francese (Alliance Francaise) dedicandomi con passione all’approfondimento
di questo idioma. In quegli anni era tornato, dopo un lungo esilio, il Generale Juan
Domingo Peron, un presidente argentino che negli anni’50, assieme a su moglie Evita,
aveva fatto tanto per il popolo argentino, soprattutto per le classi povere. Ma la sua
presidenza dura poco, muore dopo un anno e la sua nuova moglie Isabel Martinez
prende il suo posto; ma per poco tempo, in quanto la situazione politica era al limite e
così subentrano i militari, i famosi generali colpevoli di tutti gli atti omicidi di quegli
anni. L’inflazione era galoppante, si arrivava a parlare di milioni anche per comprare
il pane e così cambiarono la moneta togliendo una volta 2 zeri e un’altra 3 zeri. La
mia situazione economica familiare andava bene, mio padre vendeva delle macchine
nuove e usate ma il mio stipendio, anche se buono, appena mi bastava.
Era il 1977 e i primi giorni dell’ anno, in piena state, si sposò mia sorella con lo
stesso ragazzo che anni prima voleva lasciare per tornare a San Marino. Quel giorno
di festa e per ironia del destino ebbi un incidente stradale, abbastanza grave, che in
qualche modo segnò la mia vita e per diversi mesi mi lasciò prostrata a letto. Sempre
quell’anno cambiammo casa e quartiere.................Era l’inizio di una nuova tappa e
con questa anche di un nuovo lavoro che superasse le mie aspettative rispetto al
precedente. Sempre con il sistema degli annunci sul giornale trovai un posto in un
laboratorio di prodotti medicinali, e per la prima volta mi trovai a lavorare in pieno
centro di Buenos Aires. Questo mi affascinava, prendevo la metropolitana,
attraversavo le strade più larghe del Sudamerica, camminavo per strade piene solo di
cinematografi, o librerie, o banche di tutto il mondo..........Nel 1978 ci furono i
Mondiali di Calcio, ed in un paese come l’Argentina, questo avvenimento
rappresentava un momento di gioia unica. Durante quel periodo la gente si dimenticò
dei problemi che c’erano nel paese, tutti erano come ubriachi di questo spettacolo
sportivo, ma il sogno finì e tutto tornò come prima.
Un’altra volta, e sempre dopo circa due anni, pensai di cambiare lavoro consapevole
che le mie aspettative all’interno della ditta erano abbastanza limitate. Sempre
rimanendo nella zona del centro di Buenos Aires trovai un posto in una finanziaria in
cui finalmente mi sentii, dal punto di vista professionale, molto soddisfatta. Anche qui
trovai degli altri amici ed anche una storia d’amore che durò circa un anno ma che
era destinata a finire così.
Un altro momento incisivo nella mia vita fu il percorso spirituale a cui mi sottoposi in
quel periodo tramite una peregrinazione a un Santuario della Vergine di Lujan, sito in
una località a 70 km. della capitale, partendo da una zona in periferia. Per circa 24
ore si camminava ininterrottamente, senza dormire e mangiando o bevendo senza fare
sosta. Le condizioni fisiche in cui si arrivava erano per tutti abbastanza penose, senza
parlare delle persone ammalate o di chi si spostava con delle carrozzine. Questa
esperienza indimenticabile mi aveva aiutato a provare la mia forza, la mia fede e la
ripetei per ben 3 anni.
Dopo 5 anni di studi di francese, e arrivando a un ottimo livello culturale, fui
chiamata dalla Borsa di Commercio Francese a Buenos Aires dove mi si propose un
lavoro bilingue in una ditta multinazionale francese che si doveva istallare nella
capitale Argentina. Avevo mille dubbi, perché mi dispiaceva lasciar il mio posto di
lavoro nella finanziaria, ma l’opportunità era unica, lo stipendio era alle stelle e
rischiai un’altra volta. Furono dei mesi intensi in quanto bisognava ottenere permessi
da diversi Ministeri, prestiti da Banche, ecc. Così lavorai quasi un anno, ed ero
contentissima, mi sembrava essere alla cima di ogni mio desiderio. Inaspettatamente,
come quando si rompe un incantesimo, arrivò il mio licenziamento motivato dal fatto
che veniva ad occupare il posto del personale direttamente dalla Francia.....e il
mondo mi cascò addosso ....mi avevano pagato tutto a norma di legge, ma mi
rimaneva una grossa delusione e poi avevo anche lasciato un altro lavoro che mi
piaceva tanto.........Ero smarrita e soprattutto angosciata da quest’ultima esperienza e
fu così che in quel momento cominciai ad informarmi per fare un viaggio in Europa,
meta San Marino, e che migliore occasione di questa! Avevo risparmiato dei soldi e
mi bastavano per un biglietto di 2° classe in una famosa nave italiana. Quando
raccontai l’idea ai miei genitori non furono per niente contenti, ma ero decisa a
provare una nuova esperienza! Per mia sorella, già madre di una bambina di 3 anni, e
mio fratello che si stava diplomando, l’idea era affascinante soprattutto immaginando
uno spostamento provvisorio e breve. I Miei amici non ci potevano credere, ma ormai
avevo deciso, avevo fatto il mio biglietto per la nave “Eugenio C” della Costa
Crociera che partiva da Genova per una crociera di 1 mese: attraversava l’Oceano
Atlantico e tramite il Canale di Panama passava all’Oceano Pacifico per immettersi
ancora nell’Oceano Atlantico e così arrivava dopo 15 giorni di navigazione al Porto
di Buenos Aires. Il 7 marzo 1982 salii su questa nave, ero da sola ma piena di
coraggio e di entusiasmo ma si devo dire la verità anche con tanta paura. La nave
partì una domenica splendida di fine estate lasciando su quel porto migliaia di
persone che salutavano emozionate parenti e amici, che forse sarebbero tornati dopo
qualche tempo o può darsi mai più.
E così come questo transatlantico anche il mio destino navigava verso altri orizzonti.
Quei 15 giorni in nave furono come un sogno, non c’era niente che mi vincolasse né al
passato, né al futuro, né alla realtà, era come essere sospesi nel tempo. Il lusso, il
fascino di questa città navigante era imponente anche nella sovranità dell’oceano e il
mio viaggio fu all’insegna del divertimento, l’amicizia, la conoscenza di altre
esperienze simili alla mia........Ma il tempo non si fermò e la nave continuò il suo
corso, attraccando in diversi porti e così conobbi delle importanti città portuarie.
Immagino che questo clima paradisiaco non era da paragonare allo stato d’animo in
cui viaggiavano 30 anni prima tanti emigrati, tra cui i miei genitori: l’angoscia, la
paura, la tristezza riempivano ogni angolo di quella nave e appena partiti già
sognavano di tornare alla loro terra natale, ma il tempo era ben più lungo..... e molti
non tornarono mai più.
Arrivai a Genova il 21 marzo, il giorno dell’inizio della primavera, e le speranze
fiorivano nel mio cuore. Fu come svegliarmi, aprire gli occhi e pensare “adesso devo
veramente cominciare”. Mi lasciai dietro una scia di ricordi e cercai di non pensare
più a quello che mi legava alle mie radici. Ma questi furono soltanto dei propositi;
nella realtà non potevo comandare né al mio cuore, né ai miei pensieri. I primi mesi
furono un infinito “iniziare”: parlare un’altra lingua che appena conoscevo avendo
fatto solo un breve corso di italiano (giacché in casa si parlava esclusivamente lo
spagnolo); cercare di abituarmi a vivere con i miei parenti che gentilmente mi
avevano ospitato; cambiare orari, cibi, stagioni;......... cercare un lavoro. Non fu facile
per niente, e anche se per forza dovevo parlare questa nuova lingua i miei sogni erano
ancora in spagnolo. In casa dei nonni ero quasi una sconosciuta e poi abituata ai
ritmi di una grande città, adattarmi ai loro orari era una tortura. E pensare che
sempre avevo sognato di avere dei nonni che mi coccolassero, ma ero arrivata troppo
tardi e questo non era più possibile. Anche il lavoro costituì una grossa battaglia,
perché poi dovevo aspettare il riconoscimento dei miei diplomi tramite il Consolato, e
nel frattempo accettai dei lavori come bidella, assistente nella colonia marina e altre
sostituzioni che mi capitavano.
Forse era stato più facile per i miei genitori inserirsi in una società in cui tanti
emigrati come loro avevano le stesse esperienze che per me inserirmi in una società in
cui ero l’unica ad avere una storia simile.
Tutti erano curiosi di sapere, come mi chiamavo, dove abitavano i miei da giovani,
perché ero venuta, come mai da sola, se mi piaceva San Marino .... mi sembrava di
essere al centro di una continua intervista....... Intanto ricevevo tante lettere di amici e
famigliari ed era l’unico filo di collegamento con il mio paese.
Il tempo non passò invano e dopo qualche mese, avendo avuto il riconoscimento del
mio diploma, mi si aprirono delle porte ed ebbi la possibilità di lavorare come
ragioniera. Cominciai ad essere sempre più fiduciosa recuperando la forza persa nei
primi momenti del mio arrivo. L’inserimento nel mondo del lavoro fu pieno
d’entusiasmo, voglia di fare, d’imparare, e questo mi aiutò a stabilire dei nuovi
rapporti con della gente che mi stava vicino. Quel 1982 fu un anno intenso......in luglio
ci fu un Referendum che dava la possibilità alle donne sammarinesi, sposate con
stranieri, di conservare la loro cittadinanza, e per la prima volta esercitai il mio
diritto di voto, cosa che non feci mai in Argentina. In ottobre venne convocata la “1°
Consulta dei sammarinesi residenti all’estero” a cui partecipai essendo l’unica
argentina presente, esponendo le problematiche soprattutto economiche di questo
paese e le eventuali possibilità di avvicinamento per tanti giovani sammarinesi alla
terra dei loro avi. In quegli anni non c’erano ancora le rappresentanze consolari in
Argentina per cui la tutela dei diritti dei cittadini sammarinesi era delegata al governo
italiano. Anche se il mio stato d’animo non era alle stelle volli continuare con il mio
proposito, e non mi buttai giù, avevo ottenuto la patente di guida studiando ed
esercitandomi in estate e mi comprai la macchina più economica (una 500). Il mio
spirito continuava ad essere avventuriero e curioso e così spesi i miei risparmi
viaggiando in treno, in nave e in aereo per conoscere alcune città della Italia e
Francia, Grecia, Spagna.
Questo piccolo paese mi concesse un’autonomia economica mai avuta, ma mi sentivo
lo stesso molto confusa..............avevo nostalgia della mia terra natale, della mia
famiglia, dei miei amici, della mia musica, delle mie passeggiate.........e anche in
questo stato d’insicurezza mi sentivo di dover ancora aspettare, prima di prendere la
decisione di ritornare. La cosa peggiore non era tanto la lontananza ma soprattutto la
solitudine, il non avere vicino a me qualcuno che vivesse le mie stesse esperienze, che
sentisse le mie emozioni. La neve del 1983 mi sembrò meno bella di quando avevo 15
anni e vissi tutte le difficoltà legate a questa perturbazione atmosferica.
Quell’anno era stata istituita la Legge che riconosceva il rimborso di viaggio ai
cittadini sammarinesi residenti all’estero che venivano a votare, e per la prima volta
da quando ero a San Marino vidi diversi argentini, cosa che mi fece tanto piacere e
che mi diede ancora la carica per continuare a vivere in questo paese. Quell’anno per
la prima volta si cominciò a sentir parlare dei “desaparecidos”; e questo mi lasciò
sconvolta per le atrocità di cui venne a conoscenza..........pensavo alla mia gente, a
questo paese che finiva una guerra inutile e disgraziata con l’Inghilterra (per le isole
Falkland–Malvinas) e mi sentivo triste, egoista per essere così lontana e non partecipe
di quegli anni di crisi. Tramite le lettere dei miei amici e famigliare ebbi una
testimonianza autentica degli sviluppi politici ed economici di quegli anni che
contrastavano nitidamente con la situazione esistente in questa piccola Repubblica e
che mi fece apprezzare ancora di più le opportunità a cui potevo accedere.
Pian, piano acquistai più sicurezza e andai a vivere da sola trovando in questo modo
una mia propria dimensione. La conoscenza di certe persone fu fondamentale, non
solo per inserirmi in questa società o per imparare delle abitudini, ma soprattutto per
essere parte anch’io di questo paese. Era l’inizio di un momento veramente positivo ed
a completare questo quadro fu la conoscenza di una persona eccezionale, unica, piena
di carisma, una persona che apprezzava ogni cosa che facevo, che era affascinata
dalla mia vita e che mi tese una mano nel momento giusto, credendo in me, nelle mie
risorse, che mi volle bene per quello che ero stata e per quello che ero. Avevo trovato
finalmente una vera amica! Ed è stata lei che mi lanciò verso il futuro, che mi
convinse ad iscrivermi a dei concorsi, che mi aiutò a studiare.....e questo rappresentò
per me, in quel momento, “una sfida” che poteva dare una risposta al mio dilemma di
rimanere o ritornare..........Il cerchio si allargò sempre di più e nacquero delle altre
amicizie che mi portarono alla conoscenza di un amore, unico, travolgente, che mi
fece dimenticare ogni momento buio, e da allora pensai solo al presente. Sprofondai
in un mondo nuovo in cui i sentimenti non avevano un idioma, mi sentii importante,
necessaria e allo stesso tempo capace di dare tutto quello che avevo dentro di me.
Così cominciai un viaggio in due con l’uomo che oggi è mio marito.
I primi due concorsi li persi ma la decisione di tornare al mio paese rimase in
sospeso, contrariamente a quello che avevo ipotizzato in precedenza,......c’era
qualcosa di più forte che superava qualsiasi frustrazione. Il terzo concorso lo vinsi e
fu la prova che il mio sforzo in quei 3 anni di vita all’estero era valso la pena. La mia
decisione era stata presa: volevo restare a vivere qui lasciando dietro tanti ricordi,
una vita diversa e chi sa quante altre cose. In quegli anni anche mio fratello volle
provare l’esperienza migratoria seguendo le mie tracce ma si arrese dopo qualche
anno e così anche altri amici che conoscevamo in quel periodo.
A quattro anni dalla mia partenza dell’Argentina mi sposai e tornai là per il mio
viaggio di nozze. Rivedere Buenos Aires, caotica, imperfetta, immensa, rumorosa fu
una grande emozione. E ancora di più abbracciare la mia famiglia, i miei amici
.......ma io non ero la stessa di prima, mi sentivo strana, la mia trasformazione era
avvenuta così come a tanti altri emigrati, che alla fine sono stranieri dovunque.
Tornai con mio marito alle provincie di Salta e Jujuy, percorrendo ancora quei
meravigliosi posti che avevo conosciuto da bambina e visitando i nostri amici
sammarinesi. Come in tutti i ritorni la tristezza e le lacrime non mancarono..... ma la
mia scelta era stata fatta, il mio destino era orientato verso una direzione come
quando si tira una freccia...dopo non ti appartiene più. La mia vita aveva preso un
corso normale, casa, lavoro e tanti altri problemi uguali a quelli di tante altre
persone. Esattamente alla stessa età in cui mia madre aveva lasciato la sua terra io
prese, in quella terra, il suo posto e continuai a vivere, crescendo, maturando,
sperimentando delle emozioni uniche come la maternità, la crescita di miei figli, il
passare inesorabile degli anni, il vedere sempre da più lontano la ragazza che era su
quella nave......In questi anni sono ritornata diverse volte in Argentina, sempre con
mio marito e miei figli, ai quali feci conoscere ogni posto di cui gli avevo sempre
parlato, ma anche percorrendo altre zone di questo paese, oggetto di mete ambite per
tanti turisti. Anche mia madre ha fatto tanti viaggi a San Marino e le nostre vite
parallele continuano a trovare una totale corrispondenza in due posti tanto diversi. Il
resto della famiglia vive in Argentina e l’unico legame con San Marino è attraverso di
me.
L’esperienza dell’emigrazione (tenendo conto dell’età in cui io lasciai il mio paese e
dal fatto che ero da sola) è un’esperienza che non consiglierei a nessuno soprattutto ai
miei figli. Anche loro si sentono legati al mio paese natale tramite i miei ricordi e
sebbene può sembrare una storia bella con un lieto fine, è una storia triste, è la storia
di una persona che ha lasciato le sue radici, di una persona a metà, di una persona
con due vite diverse. L’emigrante non è mai totalmente uguale agli altri.......e porterà
per sempre un marchio........Può darsi che molti non siano d’accordo con me e pensino
che queste mie conclusioni non siano che un paradosso........ma quando divago,
quando la mia mente viaggia, quando il mio cuore si sposta mi chiedo:- e se quel 7
marzo 1982 non avesse preso quella nave.........................................?